La mostra alle Scuderie del Quirinale, curata da Massimo Osanna, Direttore del
Parco Archeologico di Pompei, e da Demetrios Athanasoulis, Direttore
dell’Eforia delle Antichità delle Cicladi, con Luigi Gallo e Luana
Toniolo, propone un inedito confronto tra due città del mondo antico, Pompei ed
Akrotiri, accomunate da uno stesso, terribile destino: essere distrutte da una
devastante eruzione vulcanica che le ha sigillate sotto una coltre di cenere e
lapilli.
Sembra strano a dirsi ma questa fu anche la loro fortuna: la vita
quotidiana all’interno dei due siti si è cristallizzata nell’esatto momento
dell’eruzione, conservando edifici, affreschi, ceramiche che ci consentono di
studiare la complessità delle due civiltà. Più di trecento oggetti tra statue,
affreschi, vasi, rilievi, gemme, incunaboli e quadri, ripercorrono un arco
cronologico di tremila e cinquecento anni, dall’età del bronzo ai giorni nostri.
Ninfeo proveniente da una ricca domus di Pompei Foto di Martina |
Il percorso espositivo si sviluppa come un viaggio nel tempo attraverso la
quotidianità dei due centri urbani: a Pompei tutto si fermò nel 79 d.C. con la
terribile eruzione del Vesuvio, durata ben tre giorni, che lasciò un segno
indelebile nei testimoni della tragedia, come si legge nelle lettere di Plinio
il Giovane. La vita rimase sospesa nei vicoli e per le strade del centro
vesuviano, nelle botteghe, nelle sale delle ricche domus, di cui qui sono
esposti magnifici affreschi ed interi ambienti, tra cui un larario e un ninfeo;
le raffinate suppellettili, i reperti organici, i calchi dei corpi colti di
sorpresa dalla morte hanno reso Pompei uno dei siti archeologici più importanti
e visitati al mondo, ed è proprio con la sua riscoperta, nel 1748, che è nata
la moderna archeologia.
Questo unicum ha un corrispettivo nella civiltà
minoica: 1700 anni prima della tragedia vesuviana, Akrotiri, fiorente centro
nell’isola di Santorini, ha subito lo stesso devastante scenario a causa
dell’eruzione del vulcano Thera.
Affreschi provenienti dalla Casa Occidentale, Akrotiri Foto di Martina |
Le pomici, I lapilli e la colata di lava hanno
sigillato edifici, affreschi e ceramiche che sono straordinariamente tornati
alla luce nel 1967: da allora, solo un decimo dell’antico sito archeologico è
stato portato alla luce. Degni di nota sono l’affresco raffigurante tre figure
femminili proveniente dall’edificio denominato Xestè 3, tra i più antichi
esempi di pittura monumentale in Europa, e quello del Giovane Pescatore,
proveniente dalla Casa occidentale. Questi preziosissimi reperti permettono di
far rivivere una complessa società, fondata su intensi rapporti commerciali, e,
al contempo, rievocare la catastrofe che, nel 1628 a.C., pose fine alla sua
esistenza. A differenza di Pompei, qui non sono stati ritrovati corpi degli
abitanti: un’ipotesi portata avanti è che il vulcano Thera abbia dato delle
avvisaglie dell’imminente eruzione e che, quindi, la popolazione sia riuscita a
mettersi in salvo. La straordinarietà dell’evento lasciò il segno
nell’immaginario antico, tant’è vero che Platone vi si ispirò per il mito di
Atlantide narrato nel Timeo.
Lo straordinario confronto tra i due siti archeologici proposto dal
percorso espositivo, mostra allo spettatore come due catastrofi naturali
abbiano spazzato via questi ricchi centri, con i loro ideali e la loro cultura,
consentendone, tuttavia, la rinascita sotto metri di materiale vulcanico. Il
disvelamento del mantello di cenere ha ispirato molte opere d’arte moderna e
contemporanea, qui esposte in un iter narrativo parallelo, che mostrano quanto
la riscoperta delle civiltà sepolte abbia nutrito l’immaginario collettivo.
Il racconto immersivo è supportato da un allestimento coinvolgente, che di
snoda tra ricostruzioni di ambienti con oggetti di uso quotidiano e proiezioni
di videoarte: il visitatore è condotto in una narrazione sospesa nel tempo.
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